NEWS

La ragazza del treno

nome-immagine

Arriva in un abito optical verde e blu, sandali platform e lo stesso sorriso sarcastico che la rese indimenticabile nel ruolo di assistente di Meryl Streep ne “Il Diavolo veste Prada”. A guardarla in faccia sembra passato un giorno, e invece sono trascorsi dieci anni.

“È difficile rendere Emily più brutta”, mi racconterà poi il regista, Tate Taylor, che si è trovato ad affrontare proprio questa impresa dirigendola nel ruolo di Rachel, la protagonista alcolizzata della Ragazza del treno. “A un certo punto decidemmo che per ogni scena avremmo scelto tra quattro livelli di ubriachezza. Nel primo facevamo avvampare le guance di Emily e le mettevamo lenti a contatto che arrossiscono gli occhi. Nel secondo livello aggiungevamo protesi che le gonfiavano le guance. Nel terzo, le protesi diventavano più grandi. Nel quarto aumentavamo ulteriormente il rossore e il gonfiore. Rachel non ha soldi per tingersi i capelli, che quindi erano di un marrone spento. E gli abiti che indossa sono indietro di sei stagioni rispetto a quelli ora di moda”. Anche dopo un trattamento del genere, Emily Blunt riesce però nell’impresa di rendere accettabile un personaggio che sembra non fare altro che precipitare in una spirale di autodistruttività e alcol. Quasi sempre ubriaca, Rachel prende un treno pendolari per New York, dove non ha un lavoro da anni, solo per spiare la casa dove viveva con il marito Tom, che l'ha lasciata. Tom abita ora con la giovane moglie e una neonata. L'immagine della loro felicità è talmente dolorosa che Rachel si fissa sulla giovane coppia poche porte accanto e si immagina di avere trovato la perfezione in Megan e Scott, fino a quando anche quelle immagini da sogno vengono interrotte da qualcosa che lei non riesce a decifrare, un po' come accade nella “Finestra sul cortile” di Hitchcock. I dubbi sulla propria affidabilità di testimone aumentano quando Megan scompare e Rachel decide di presentarsi a Scott convinta di avere visto qualcosa.

Tratto dal bestseller di Paula Hawkins, “La ragazza del treno” ha portato Emily Blunt a interpretare per la prima volta un personaggio di cui aveva “terrore puro”. Non una eroina come Rita Vrataski, cui il mondo ha affidato la propria salvezza in “Edge of Tomorrow - Senza domani”. Non un'agente dell'Fbi con il compito di frenare il narcotraffico al confine col Messico come in “Sicario”. E certamente non l'angelica Mary Poppins che affronterà presto, ricreando dal nulla – senza neppure una canzone originale – il personaggio portato al cinema da Julie Andrews (che ha dato la sua approvazione al progetto). No, nel mondo della pendolare Rachel non c'è alcuna certezza. E questo ha continuato a turbare Emily dopo le riprese, quando tornava a casa per occuparsi assieme al marito John Krasinski di Hazel, la figlia nata nel febbraio 2014, dopo avere appreso all'inizio della lavorazione del film di essere incinta di una seconda bambina (Violet, che ora ha tre mesi). “Di solito è un buon indicatore: se ho paura, vuol dire che la parte rappresenta una sfida da accettare. Ma Rachel è una persona talmente tossica, emotivamente e fisicamente, che non vuoi respirare troppo a lungo la sua stessa aria. Quindi, durante il lungo viaggio in macchina verso casa meditavo, e cercavo di concentrarmi su pensieri felici. Per fortuna avere una bambina che mi aspettava mi impediva di fare la method actor: stare in personaggio (come prevede il Metodo Stanislavskij praticato dall’Actors Studio) tutto il tempo sarebbe stato veramente troppo”.

Che cosa l'ha spinta ad accettare la parte, nonostante tutto? “Mi attirava che in un ruolo come questo ci fosse una donna, perché succede così raramente in una grande produzione: le donne di solito non sbagliano, mentre a Rachel è successo più volte e ora si trova isolata, con una sensazione di incompletezza che la porta a narrare la storia di cui è protagonista senza essere certa di quello che dice”.

Come si è preparata? “Guardando documentari e gli episodi della serie Tv Intervention, che è basata su storie vere di persone affette da varie dipendenze. Una in particolare, su una soccer mom (le madri americane che passano il loro tempo ad accompagnare i figli impegnati in attività e sport), di quelle perfettine che è precipitata nell'alcolismo a una velocità spaventosa. È terribile vedere il potere degli artigli della malattia una volta che ti ha catturato. Ho capito lì quanto fosse complicato ritrarre un'alcolista: non vuoi che risulti comica, o accomodante come quegli zii che alzano un po' troppo il gomito. Vuoi che ti spaventi”.

Lo voleva anche il regista? “Sì, al punto che all’inizio delle riprese io e Tate abbiamo fatto un patto: per essere rispettosi verso chi soffre di alcolismo, non avremmo abbellito la situazione ma avremmo offerto un ritratto realistico, di una persona che finisce in un buco buio e doloroso. Sono orgogliosa del lavoro che abbiamo fatto”.

Pensa che la nostra società tratti le donne che hanno un problema con l’alcol diversamente dagli uomini? “Sinceramente sì, credo che ci sia un doppio standard. L’uomo che beve si diverte, si sta rilassando, si sta un po' lasciando andare: una parte della società quasi incoraggia questi comportamenti. L'immagine che proietta una donna che beve è molto più imbarazzante e complicata, è subito vista come un problema che va risolto”.

Il voyeurismo è un’altra grande questione affrontata dal film. “Siamo tutti voyeur, in un modo o nell’altro: capisco il desiderio di guardare cosa succede dietro le porte chiuse, dove non dovremmo. Io stessa quando ho fatto la pendolare mi interrogavo sulla vita degli altri passeggeri: da dove venivano, perché si vestivano così, che gli stava succedendo veramente”.

Lei è anche oggetto del voyeurismo altrui: ci pensa mai? “Solo quando me lo dicono. Quello che viene presentato sui social media è uno spettacolo: tutti hanno successo, sono perfetti, hanno una casa bellissima e figli meravigliosi, mai uno che metta la foto di suo figlio con una crisi di pianto al supermercato. No, tutto è bellissimo. E anche per Rachel vedere quella coppia perfetta significa riempire un vuoto nella sua vita, darle un senso”.

Secondo lei, quanto conta il fatto che Rachel non possa avere figli? “Credo sia quello che la spinge davvero nell’abisso. Conosco molte donne per cui non avere figli è stato veramente un ostacolo difficile da accettare, e so che tutte si ritroveranno in questo aspetto del film”.

Le protagoniste de “La Ragazza del treno” non aderiscono comunque allo stereotipo della donna angelica. “Non volevamo che piacessero ma che fossero credibili, anche e soprattutto nei loro errori. Hanno gli stessi difetti degli uomini. Hanno sbagliato, si sono scontrate con qualcosa e ne sono uscite perdenti, soffrono enormemente per questo”.

A questo punto della sua carriera, quanto è importante per lei ritrarre un’immagine diversa delle donne? “È la sola ragione che mi spinge ad accettare un progetto. O a rifiutarlo”.

Scheda film: La ragazza del treno

  • Nazione: USA
  • Anno: 2016
  • Genere: Thriller
  • Durata: 112'
  • Regia: Tate Taylor
  • Cast: Emily Blunt, Haley Bennett, Rebecca Ferguson, Luke Evans, Lisa Kudrow, Laura Prepon, Edgar Ramirez, Justin Theroux, Allison Janney, Darren Goldstein, Marko Caka, Lana Young, Mauricio Ovalle, Ross Gibby