Glass

Il regista M. Night Shyamalan è sempre stato un personaggio fuori dai confini, anche della realtà e per certi versi sopra le righe, con quel vezzo di farsi chiamare Night (al posto di Manoj Melyattu), e gli immancabili camei hitchcockiani nei suoi film, che hanno conquistato il pubblico per le atmosfere avvolgenti, gli elementi sovrannaturali, i finali sorprendenti. Con certe frasi capaci di scioccarti, ma che poi nel tempo si sono trasformate in formidabili tormentoni comici, tipo “vedo la gente morta”. Quando girò “Il sesto senso”, venti anni fa, ne aveva 29. Subito dopo arrivò “Unbreakable: Il predestinato”, un successo con il sapore della sconfitta: il regista indiano-americano non era riuscito a superarsi. Da allora la carriera lunga13 film è stata altalenante come poche a Hollywood. Dalla doppia candidatura all’Oscar a una teoria di Pernacchie d’oro, con sbeffeggianti stroncature di pubblico e critica, da “The Village” a “After earth”: dopo il bagno di sangue da 172 milioni di dollari di quel film, Shyamalan è diventato un paria. Si è chiuso nella tenuta di Philadelphia, dove vive con moglie e tre figlie e dove ha girato quasi tutti i suoi film, ed è ripartita la “shymalassance”. Prima con “The Visit”, horror da 5 milioni, che nel 2015 è stato rifiutato da ogni produttore, è stato girato grazie a un’ipoteca sulla casa del regista e ha incassato 98 milioni di dollari. Ed è arrivata la riscossa con “Split” thriller sull’assassino con 23 personalità con James McAvoy; 9 milioni di budget, 280 al botteghino. Con un colpo di scena degno dei suoi film, nell’ultima scena compare Bruce Willis. Si scopre che lo psicopatico Kevin Wendell Crumb, capace di diventare la sovrumana Bestia, è un supereroe, come David Dunn, il Predestinato che individua i malvagi toccandoli e Elijah Price, il cattivo dalle ossa di vetro e la mente geniale, Samuel L. Jackson. Proprio a quest’ultimo è dedicato il titolo del film che mette insieme i tre personaggi in un ospedale psichiatrico alla “Qualcuno volò sul nido del cuculo” e chiude la trilogia: “Glass”.
Come si sente inquesto momento della sua vita?“Le sensazioni sono tante. Gratitudine, per le opportunità che ho avuto. Terrore per il futuro: che farò ora? Solitudine, come sempre alla fine di un progetto. Un film è solo una tappa del circo, poi devi ripartire. Spero in un nuovo personaggio a farmi compagnia”.
Ha immaginato “Unbreakable” in un'altra era. I cinefumetti non esistevano. “L'idea venne al montaggio di “Il sesto senso”. Dopo un film di fantasmi volevo un fumetto. Ma dark, antico, scomodo, silenzioso. Avevo 27 anni ed ero senza paura. Invecchiando invece ti proteggi, non vuoi più essere ferito. I produttori non furono entusiasti, quello dei fumetti è un pubblico di nicchia dissero. Le prime reazioni al film furono negative: troppo strano, incomprensibile. Quei giudizi mi ferirono, il coraggio non fu premiato. Ma fare “Glass” adesso mi ha permesso di inserire il tema della nostalgia. Le scene inedite del primo film con Willis e il bambino al confronto con l’oggi: uno invecchiato l’altro ormai uomo, sono una riflessione sul tempo che passa”.
Ci sono voluti 19 anni per chiudere la trilogia.“Finalmente volto pagina. Tutti mi chiedevano il sequel, specie Willis e Jackson. Samuel mi fermava persino al semaforo per strada a Beverly Hills, tirava giù il finestrino: “Quando fai il sequel, figlio di…?”. E io: “Ci sto lavorando”, anche se non era vero. Così, girato “Split”, l’ho invitato a vederlo. E ha capito: “Ora lo facciamo il film, figlio di…”. Non avevo scampo”.
Il suo cinema che guarda a Hitchcock divide i critici.“Sono difficile da classificare. Il mio stile è peculiare, ma le storie sono accessibili. Perciò non sono considerato un autore, ma non sono nemmeno accettato nel maistream. Però ho avuto una carriera incredibile e ora sono in pace con me stesso”.
Lei è cresciuto inuna famiglia hindu, ma ha frequentato una chiesa cattolica. “I miei genitori, medici, sono hindu, c’era molta spiritualità in casa. Ma volevano la disciplina di una scuola cattolica. Ho avuto una suora come insegnante per dieci anni. Il confronto quotidiano con due religioni opposte era un stimolo forte. A messa ero l’unico che non mangiava il corpo di Cristo, a casa sentivo parlare del dio elefante. E così ho creato un mio mondo immagjnario”.
I suoi film raccontano anche il presente. “The village” descriveva l’era Bush, ora siamo in quella di Trump. “È folle come la cultura non si sia sovrapposta alla moralità: Trump è un prodotto pop. L’America è divisa da sempre in chi crede nella schiavitù e in chi non ci crede. In fondo, la mappa delle differenze tra democratici e repubblicani esposta al museo della schiavitù è la stessa delle origini del paese. La paura dell’altro fa parte della storia. L’homo sapiens ha distrutto tutto quel che aveva attorno. Unirci contro un nemico crea un legame più forte dei rapporti personali. Questo ci ha trasformato nella creatura più letale del pianeta. È proprio quello che sta facendo Trump”.
Preparatevi, Shyamalan è tornato davvero.